Studio del caso di Giuseppina Giuliano, bidello pendolare Napoli-Milano in treno

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È Gennaio 2023 e sta rimbalzando su diversi giornali il caso di Giuseppina Giuliano, la bidella che vive come pendolare e si fa tutti i giorni la tratta Napoli-Milano in treno per recarsi al lavoro.

Anche su LinkedIn, i toni sono spesso di lodi entusiaste nei confronti della “gran lavoratrice” che dovrebbe insegnare etica e sacrificio a quegli “scansafatiche” dei giovani che non vogliono fare niente e viene sdoganata come modello virtuoso di gran lavoratrice.

Se fare i pendolari è una scelta obbligata per alcune persone, oppure una scelta strategica per altre, di certo qui siamo ad un caso limite che merita una considerazione a sé stante.

Ma le cose stanno proprio così? Premesso che qualcosa non torna con i numeri e con i costi (ma sono coach di carriera e non un investigatore), vediamo di approfondire questo caso interessante e perché la tua carriera lavorativa non dovrebbe prendere esempio dalla Giuliano.

Screenshot tratto da TgCom24 su Giuseppina Giuliano, con immagine de “il giorno”

Punto 1 – cosa è andato storto?

La prima domanda che ci si dovrebbe porre è come abbia fatto la Giuliano a finire in una simile situazione, questione che gli articoli di giornale non spiegano bene o lasciano poco approfondita. Pare infatti che la Giuliano abbia superato un concorso come bidella, appunto, venendo assunta di ruolo ed a tempo indeterminato e – facendo una semplice supposizione logica – ritrovandosi di conseguenza  in una situazione difficile: non poter rinunciare all’incarico (probabilmente pena l’esclusione dai concorsi pubblici per 2 anni) e le difficoltà logistiche, forse inaspettate.

Quindi, cosa dobbiamo pensare? Ad un tentativo di trasferimento andato male, senza tenere conto dei costi della vita o degli aspetti logistici? Oppure ad un tentativo di farsi assumere su una “piazza più ricca” e chiedere poi il trasferimento a casa, in tempi più maturi?

Stando all’articolo di TGCom24, questa sarebbe l’affermazione della Giuliano: “Io a Napoli vivo con i miei genitori, mia nonna e i miei cagnolini. Questo mi permette di non avere ulteriori spese oltre a quelle del treno e per questo mi ritengo molto fortunata“.

Per ora non ci è dato sapere di più ma sembra proprio il tentativo di correggere uno sviluppo di carriera iniziato male sin dal principio.

Punto 2 – pendolarismo, benessere e felicità soggettiva.

Un secondo elemento da considerare è la scelta strategica del pendolarismo, quando questo non è “forzato” da altri fattori: sono in molti che scelgono di vivere in città più piccole e di lavorare in altre molto più grandi e ricche, così da beneficiare di stipendi più alti da spendere nella città di residenza (e non di lavoro) dove il costo della vita è sensibilmente più basso. Tutto questo se i costi economici e di tempo del pendolarismo sono accettabili. Alcuni esempi sono quelli di chi vive a Oxford o Cambridge e lavora a Londra, o chi da Malmö (Svezia) va a lavorare a Copenaghen (Danimarca), o i casi un po’ diversi dei pochi fortunati che svolgono lavori altamente compatibili con il telelavoro e lo smart working, scelgono di vivere ad esempio in Spagna e prendono l’aereo per andare a Londra una volta alla settimana.

A tal riguardo, ognuno di noi ha i propri valori e che la felicità è qualcosa di soggettivo: quindi ognuno fa ciò che può per raggiungere “quello” stato di felicità, compiendo alcuni sacrifici e rinunce per ottenerlo. Ricordo però il concetto di “razionalità limitata“, secondo cui, durante il processo decisionale, la razionalità di un individuo è limitata da vari fattori: dalle informazioni che possiede, dai limiti cognitivi della sua mente, dalla quantità finita di tempo di cui dispone per prendere una decisione (Herbert A. Simon).

Se da un lato dei simili sacrifici temporanei denotano qualità umane preziose, come carattere e forza di volontà (o forse semplice rassegnazione, per chi fa di necessità virtù), è chiaro come uno simile stile di vita protratto troppo a lungo sia assolutamente logorante per chiunque: alzarsi alle 3.30 del mattino per essere puntuale al lavoro e tornare alle 11 di notte distrutti, con l’unico desiderio di andare a dormire, non è vita. Con la stanchezza inevitabile, si vive fuori dai ritmi del mondo e si arriva logorati al weekend dove puntualmente si cerca di recuperare la fatica della settimana.

Punto 3 – “Lavoro sabbie mobili”.

Si tratta di quelle “trappole” che esistono nella nostra società: quei lavori talvolta necessari per pagarsi le bollette e per avviare una professione che nessuno dovrebbe fare in modo prolungato, se non come esperienza di vita e per forgiare il carattere, e che invece diventano una vera e propria gabbia virtuale. Per pochi soldi, dato che spesso sono mal pagati, assorbono ogni energia e quasi ogni minuto libero della tua vita (incluso il tempo per andare e tornare dal luogo di lavoro) e ti ritrovi in quella condizione dove non puoi licenziarti, pena finire in strada o tornare a casa dai tuoi, ma non hai più le forze per studiare e qualificarti e nemmeno il tempo per inviare il tuo CV alle imprese e per andare ai colloqui di lavoro, o per sostenere nuovi concorsi pubblici per migliorare la propria posizione.

Certo, si potrebbero fare certe cose anche in treno, ma tra i problemi di connettività e quelli di concentrazione uniti alla stanchezza siamo in una condizione non dico impossibile ma fortemente antagonista allo sviluppo di una carriera sana.

Punto 3 – Storture del sistema vs. capacità adattiva soggettiva

Altra riflessione riguarda la mancanza di opportunità presenti in Italia e le storture del sistema che possono condurre – anche per necessità temporanee – a scelte così dure.

Sicuramente una parte è dovuta all’incompetenza politica ed ai problemi di gestione del territorio, complici i perversi meccanismi elettorali, che meritano però una riflessione a parte. Queste includono anche la mancanza di servizi, legati almeno in parte alle privatizzazioni eccessive, ed ai complessi meccanismi dei concorsi pubblici – anch’essi una questione spinosa. Resta infatti difficile pensare che una ragazza non riesca a trovare una stanza in affitto nemmeno in periferia di Milano e ci si chiede come abbia fatto a cacciarsi in una simile situazione!

E resta poi il dubbio sul suo valore in termini di occupabilità: va bene che è stata assunta di ruolo ma è possibile che non trovi di meglio, né a casa né altrove? Infatti, ci sono tante persone che lavorano bene anche a Napoli, che è una grande città: come è possibile che questa ragazza non riesca a trovare di meglio “in casa”? Non conosco il suo caso specifico ma vedo una situazione poco chiara, sia sul contesto e sia riguardo il suo CV (inteso come percorso di studi e lavoro, non il “documento”), qualifiche e competenze: come mai è bloccata in tale situazione?

È più che giusto che non tutti abbiano l’ambizione di diventare grandi tecnici, super specialisti o manager e che magari la propria felicità soggettiva sta in altro oltre il lavoro, come la famiglia, l’arte o lo sport! Ma è ormai chiaro che anche per avere quello stile di vita più bilanciato tra lavoro e tempo libero è comunque necessario studiare, qualificarsi e proporsi in modo corretto.

Tolto il fatto che siamo nell’era digitale e che ci sono moltissimi Millennial che riescono a guadagnare con l’on-line in vari modi (dai lavoretti ai servizi strutturati e organizzati), rimane il dubbio sulla bontà della scelta effettuata: davvero risparmiare 250 euro al mese di affitto è un vantaggio rispetto alla fatica del viaggio, all’impossibilità di seguire corsi serali per qualificarsi, al costo fisico di spostamento ed al sacrificio di quella vita sociale che porta anche contatti professionali utili per la ricerca di lavoro?

Ammesso che i contenuti degli articoli di giornale siano veritieri e non modificati in modo fazioso, bisogna a mio avviso prendere questo caso come esempio di resilienza virtuoso solo se finalizzato ad un chiaro obiettivo di felicità soggettiva, e non un caso da emulare in termini assoluti. Anzi, in altri contesti, tali livelli di resilienza (parola spesso criticata, ed in parte a ragione) sfociano nella cocciutaggine e nel autolesionismo, e quindi come esempio delle conseguenze di scelte sbagliate.

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