Colloqui di selezione: essere sé stessi è davvero utile?

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Quella che segue tra le domande più ricorrenti che mi vengono fatte quando i miei studenti e clienti mi chiedono come superare i colloqui di selezione: essere sé stessi è davvero utile?

A tale domanda non si può rispondere in modo secco con un sì o con un no, dato che la risposta finirebbe per essere come una delle ironiche (finte) frasi di Osho che si vedono su Facebook che, rimaneggiata per non essere volgare, potrebbe diventare come:

“Sii te stesso, ma se vai male non ti sforzare e sii pure qualcun altro”

Ma nemmeno essere qualcun altro può essere la soluzione! Dunque, cosa funziona davvero? Forse conviene partire proprio dalla fine, procedendo per esclusione.

Forzare la mano, sforzarsi di essere diversi ed in sostanza cercare di essere qualcun altro non può che condurti solo ad un disastro annunciato. Mentire durante un colloquio di selezione infatti comporta rischi analoghi a quelli che derivano dallo scrivere bugie nel proprio CV, incluso quello di cadere nel reato di falsità ideologica. Ma la cosa peggiore, oltre che a compromettere il rapporto di fiducia con il potenziale datore di lavoro, è quello di ritrovarsi in situazioni che non potresti mai gestire perché non rientrano nelle tue capacità e nelle tue reali attitudini.

Per contro, anche una disarmante sincerità può essere controproducente perché certe verità dette male, senza le dovute precauzioni, possono farti squalificare agli occhi degli esaminatori e dei datori di lavoro anche se sei tu dalla parte del giusto.  Viviamo infatti in un mondo imperfetto e bisogna tenerne adeguatamente conto.

I temi più critici riguardano la conclusione dei precedenti rapporti di lavoro, terminati spesso con risentimento e livore, così come i contratti a progetto che frammentano le carriere dei lavoratori, i buchi nel CV per mancanza di attività, la maternità (in corso o desiderata), le aspirazioni e le aree di miglioramento.

Se dovessi trattare singolarmente ognuno di questi temi non basterebbe certo la pagina di un blog e, per le loro sfaccettature, il coaching individuale che esercito è forse la miglior soluzione.

Alcune persone sono già allenate a gestire le relazioni e pertanto godono di un’apparenza di spontaneità e naturalezza quando affrontano i colloqui di selezione. Altri invece non lo sono e fanno molta più fatica per una serie di fattori che includono educazione, esperienza e tratti di personalità. Ed è proprio tramite l’allenamento che le persone riescono a far risaltare il meglio di sé: certamente c’è chi è più portato e chi meno ma non va confusa questa naturalezza con il fattore dell’autenticità.

Essere sé stessi sicuramente è un bel valore ma non è quello che fa superare i colloqui di selezione. Se così fosse tutti riuscirebbero a trovare lavoro puntando solo su quello e invece non avviene, perché serve la preparazione. Molti confondono l’autenticità con la spontaneità e la facilità con cui si attivano certe competenze che sono costruite con anni di sudore e di pratica che danno poi fondamento all’autorevolezza.

La verità è che nei colloqui di selezione bisogna sapersi vendere, ed essere troppo sé stessi in modo incontrollato può essere controproducente e talvolta devastante per i candidati, soprattutto per quelli meno esperti.

Per rendere l’idea, provo a fare un paragone con la musica o con lo sport: musicisti ed atleti hanno infatti una cosa in comune, che è la padronanza di una tecnica che richiede una grandissima coordinazione psico-fisica. Dopo anni di allenamento, sono diventati maestri in quella disciplina e ciò che loro fanno appare facile e fluido non perché lo sia davvero ma perché sono loro ad essere bravi a farlo. Per chi ama i programmi di cucina, si vede la stessa differenza quando gli chef riproducono delle ricette molto complesse con scioltezza. Ormai quei movimenti, quelle sequenze fanno parte di loro e quindi viene loro naturale riprodurli, così come avviene a chi è più allenato con il public speaking e la comunicazione interpersonale. Il fatto che a loro venga facile non significa che sia facile.

Uno splendido esempio lo troviamo in un video a mio avviso eccezionale, disponibile su YouTube, dove Paolo Bonolis racconta come selezionò il maestro Luca Laurenti agli esordi.

Nel video emerge come Laurenti ebbe accesso alle selezioni perché il suo profilo era ovviamente in linea con quanto richiesto (grazie ad 11 anni di piano bar) e dunque l’equivalente del suo CV era presumibilmente già valido. Ma quello che secondo me gli diede davvero la vittoria fu la sua capacità di vivere il momento, creando un rapporto con le persone presenti, dove diede prova di competenza e riuscì a rendersi memorabile e dunque a distinguersi, anziché limitarsi a suonare e cantare correttamente un brano – che è l’equivalente di rispondere correttamente le domande di un colloquio di selezione –  nella (errata) speranza di essere scelti.

Oltre alla bravura indiscussa, forse fu proprio la capacità di Laurenti di tramutare un suo difetto (la parlata) ed i suoi modi particolari in un vantaggio competitivo per distinguersi tramite la simpatia e, unito alla cura meticolosa per l’esibizione, a fargli ottenere l’incarico. Se certamente le competenze dovevano esserci, a fare la differenza furono l’atteggiamento mentale ed il modo di gestire la relazione.

Alcune persone potrebbero confondere questo con “l’essere sé stessi” ma è un errore, perché lo stesso Laurenti forgiò altre competenze relazionali nei famosi 11 anni di piano bar dove devi creare animazione e lo fai mettendo tutto te stesso, non solo suonando. Competenze che ormai gli vengono naturali, influenzando la percezione di chi lo osservava e dando così quel senso di autenticità che invece è forgiato col tempo.

Dunque, essere “spontanei” non è arrivare a colloquio ed andare lì davanti al selettore del personale pensando “Vada come deve andare” per poi rispondere sempre e solo con la prima cosa che passa per la mente. Essere spontanei significa valorizzare ciò che si è, i propri punti di forza e potenziale, allenarsi a quei micro-gesti  e micro-competenze che aiutano ad instaurare un rapporto positivo e a farsi percepire come persone adatte per il contesto e, quando serve, anche autorevoli nel proprio campo. Si tratta di competenze acquisite, consolidate ed interiorizzate sino a quando fanno parte di te.

E non è nemmeno arrivare con una serie di risposte pre-impostate, nel tentativo di avere una contromossa per ogni quesito della selezione o cercare di ricalcare dei tratti di personalità e simulare delle qualità e caratteristiche che non sono proprie: per quanto ci si possa sforzare, risulteranno sempre artefatte. Questo significa essere costruiti!

Per questo non credo nell’utilità di siti come PassMyInterview.com che promette di fornire risposte per i colloqui di selezione per qualsiasi lavoro: il risultato sarà solo quello di appiattirti e renderti uguale ad ogni altra persona, anziché farti lavorare su te stesso. Certo, se sei proprio disperato può esserti utile come spunto per iniziare ma ricordati di puntare sempre su ciò che sei e valorizzare le tue qualità e competenze.
Proprio per confermarti questo, ti riporto un caso documentato di un recruiter che, stanco di sentire sempre le stesse risposte uguali e stereotipate da parte dei candidati, in sede di intervista iniziò a simulare dei gravi malori per vedere chi sarebbe scappato preso dal panico e chi, invece, si fosse fermato per soccorrerlo, dimostrando qualità umane positive: studiare a memoria delle risposte di altri non ti porterà da nessuna parte, mentre ti aiuterà raccontare bene la tua storia personale.

Siamo davanti al paradosso del “devi essere spontaneo”: se devi esserlo, non sei più spontaneo e non potrai mai esserlo. E, se per una persona “essere spontanei” significa ragionare attentamente e soppesare ogni parola prima di rispondere, dando la percezione di essere freddi e calcolatori? E se questo fosse proprio ciò che è desiderato da chi seleziona il personale?

La logica in questi casi può essere più nemica che alleata, mentre sono maggiormente d’aiuto la consapevolezza, il buon senso, l’empatia e l’esperienza nel gestire le relazioni.

Per concludere, ecco per te 10 consigli utili da tenere a mente – alcuni dei quali non mi stancherò mai di ripetere –  quando si affrontano le questioni più spinose ad un colloquio di selezione.

  1. Mantieni la calma, dialoga in modo composto e non lasciare che le emozioni prendano il sopravvento. A tal riguardo, mostrare passione (cosa positiva) non significa dimostrarsi come degli esagitati, né andare in escandescenza.
  2. Pensa positivo: ti aiuta a tirare fuori il tuo lato più amichevole ed a contagiare gli altri.
  3. Gestisci la velocità della tua parlata, tenendola sostenuta con le persone energetiche e lenta con quelle più pacate. Non ti sto dicendo di attivare la tecnica del matching della PNL (fatta in modo ingenuo, ti farà apparire come un idiota e ti farà perdere punti) ma di capire il tuo interlocutore e di avvicinarti a lui (o a lei) per migliorare il rapporto senza cercare di ricalcare, in modo artefatto, ogni sua movenza o peculiarità.
  4. Rimani sui fatti e tienili separati dalle opinioni. So che questo richiede molto allenamento ma c’è una grossa differenza, quando parli del tuo ex-capo, tra “era un idiota incapace” e un “c’era una forte divergenza di idee riguardo i modi di fare e la visione aziendale per la quale non ci fu più possibile operare assieme“.
  5. Costruisci la relazione sul momento, ricordandoti che davanti a te hai altre persone, con i loro bisogni e le loro aspettative. Evita di parlare in terza persona e di fare dei sermoni logorroici. Piuttosto allena l’ascolto, vai dritto al punto e rispetta le pause nel discorso in modo da creare un’alternanza tra te ed il recruiter.
  6. Valorizza le affinità – cosa molto importante –  ma permettiti pure di dissentire, se fatto con educazione. I colloqui di selezione non sono dei “quiz a risposta multipla” dove devi azzeccare la risposta più corretta ed i colloqui di selezione servono anche per capire le divergenze. Andare con un’impresa con cui non sei compatibile equivale a vincere la singola battaglia e perdere l’intera guerra.
  7. Mettiti nei panni del selettore / recruiter e pensa a come reagiresti tu se un candidato ti desse certe risposte. Se la tua pancia si contrae al solo pensiero, forse è la reazione fisiologica alla consapevolezza che è la risposta sbagliata.
  8. Arriva informato e preparato: ho dedicato vari capitoli su come prepararsi alle interviste perché l’indecisione è una cosa davvero irritante per molti recruiter, in quanto coincide con uno spreco del proprio tempo.
  9. Tieni sotto controllo i tuoi vizi. Curare la tua persona è davvero importante specialmente quando chi ti seleziona è il tuo potenziale manager o collega senior, con cui lavorerai fianco a fianco. Ho visto alcune persone scartate per via della puzza di tabacco che hanno addosso: vestiti e capelli impregnati. Vuoi coltivare i tuoi vizi? Fallo lontano dal lavoro. anche se forse potresti viverla come una violazione dei tuoi diritti come essere umano: anche se è un’ingiustizia, chi fa selezione non te lo verrà a dire ma intanto ha il diritto/dovere di scegliere persone compatibili anche a livello personale – e non solo tecnico – con la propria impresa ed un limitato controllo dei tuoi vizi potrebbe contribuire ad una percezione negativa di te.
  10. Allena le tue capacità personali, la tua consapevolezza e, solo allora, “sii te stesso”: è la frase che riassume un po’ il senso di questo articolo perché sarai diventato il professionista che gli altri si aspettano.

Spero che ti sia stato d’aiuto e, se necessiti di un supporto più professionale, scrivimi a ilcurriculumvincente@gmail.com !

Mattia Loy

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