Tutti gli errori del Curriculum di Giuseppe Conte

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Colgo l’occasione delle recenti vicissitudini relative alla formazione del nuovo governo M5S-Lega per mostrarti tutti gli errori del Curriculum di Giuseppe Conte come studio di un caso specifico da una prospettiva tecnica e professionale. Il seguente articolo ha quindi uno scopo puramente didattico e non contiene considerazioni sulla persona del dott. Conte ma solo sul suo CV. Il CV di Conte può essere scaricato da questo link in quanto informazione di pubblico dominio vista la rilevanza del caso.

1: Il formato è inesistente ed è troppo lungo

Il CV di Conte è un prolisso elenco di attività svolte di ben 11 pagine e senza nessuna struttura: questi fattori lo farebbero automaticamente cestinare in qualsiasi contesto di selezione tradizionale perché dimostra la mancanza di qualità basi come capacità di sintesi e di orientamento al cliente, ma in questo caso può tranquillamente ignorare il problema perché sa che il suo CV verrà letto comunque. Il prof. Mantini, che lo segue nel documento, ha invece utilizzato un CV ben più sintetico ed efficace (per quanto contenente comunque molti errori), molto più focalizzato, che ne agevola la lettura da parte degli interessati.

2: PAROLE INUTILI E TERZA PERSONA

“… gli ha conferito l’incarico di tenere un corso integrativo…”

Il CV manca di quello stile ermetico (come l’ermetismo letterario) che dovrebbe portare ad andare dritto al punto. Conte, o chi per lui ha scritto il suo CV, utilizza invece uno stile discorsivo più adatto ad una lettera di presentazione comunque poco sobria, ricorrendo a frasi indirette e ad un abuso della terza persona che crea distacco e mancanza di empatia. Anche se Conte è uno stimabile professore e giurista, tale stile viene viene comunque percepito dai più come auto-celebrativo ed arrogante e non andrebbe usato.

3: MIX IMPROPRIO DI CONTENUTI

Le esperienze di Conte in ambito accademico sono mischiate e confuse con il suo apprendimento professionale. Per i professionisti senior è più corretto mettere la formazione dopo le esperienze professionali, non prima, perché ad una certa età i risultati contano più delle qualifiche. In questo caso però è importante far notare subito anche le qualifiche come conferma dell’idoneità al ruolo: il modo più corretto sarebbe stato quello di citare i titoli di studio nelle righe di introduzione iniziale che fanno da apertura ideale del CV.

4: Mancanza di elementi di valore

Mancano la foto, sempre utile per creare empatia e riconoscibilità, così come i dati anagrafici e di contatto: capisco non mettere i dati personali per un discorso di privacy, ma almeno l’indirizzo email universitario che è comunque già pubblico.
Cosa più importante, mancano i risultati: il CV di Conte è un elenco statico e passivo di attività e mansioni svolte, ma non c’è traccia – o se c’è io non la vedo per via delle 12 pagine e del formato – dei risultati che ha prodotto nel suo settore.  Certamente il CV di Conte lo fa apparire come una persona influente, stimata e di “peso” politico e tecnico ma cosa ha prodotto con il suo lavoro? Questo rimane un mistero.

5: Approccio non fattuale ed “effetto pavone”

Effetto pavoneLa competizione per il lavoro porta spessi i candidati a mentire sul proprio passato, competenze e qualifiche, spesso con piccole bugie bianche per “imbellettare” la realtà ed ottenendo quello che chiamo affettuosamente “effetto pavone”, per via della caratteristica dell’animale ad aprire la coda per attrarre le femmine.  Questa però è una scelta controproducente perché mina le basi della credibilità ed affidabilità e, al tempo stesso, genera aspettative che non si possono rispettare: se si è così bravi da superare le selezioni con un CV “gonfiato”, è molto probabile che le richieste lavorative siano superiori alle proprie capacità e che il candidato non riuscirà a fare ciò per cui è stato pagato. Le bugie verranno così a galla.

Riguardo Conte, varie testate confermano che non è mai stato né studente né professore alla New York University: gli fu dato il permesso di condurre ricerche presso la biblioteca tra il 2008 e il 2014 come spiegato da un portavoce della NYU.
Conte avrebbe fornito due versioni del suo curriculum: uno alla Camera dei deputati, uno accessibile dal sito dell’Associazione Civilisti Italiani. Nel primo caso, emerge che Conte “dall’anno 2008 all’anno 2012 ha soggiornato, ogni estate e per periodi non inferiori a un mese, presso la New York University, per perfezionare e aggiornare i suoi studi”. Nel secondo, sotto la dicitura “Perfezionamento studi giuridici” compare la New York University e gli anni 2008 e 2009, come riportato da Today.it. Secondo Repubblica, invece: “Sorbona, Vienna, Malta: un elenco di “non risulta” e “non verificabile” sugli studi giuridici. di Conte Non solo la Nyu.”

Nel caso specifico era facile prevedere che il suo CV sarebbe stato meticolosamente analizzato e verificato alla ricerca di incongruenze o imprecisioni puntualmente scoperte nonostante la (intenzionale?) lunghezza.

Ora, se Conte ha mentito o se è stato “solo” così impreciso ed ha esagerato la verità, ottiene in ogni caso l’effetto di far dubitare della sua onestà intellettuale e precisione anche sugli altri punti del suo CV e sul suo comportamento in generale perché se lo ha fatto una volta allora può farlo ancora e, con un tale CV fornisce una cattiva immagine di sé e della considerazione in cui tiene i suoi interlocutori, anche se i suoi intenti magari sono ben altri.  Ripeto che qui commento da tecnico solo il messaggio che arriva, non la persona e le sue intenzioni.

È un discorso vecchio come il mondo, che a maggior ragione lui più di altri dovrebbe conoscere ed i precedenti analoghi con altre persone famose si sprecano: basti pensare all’ex-presidente americano Bill Clinton con la Lewinsky o, restando in Italia, a Oscar Giannino di “Fare”, che si inventò la sua partecipazione a dei Master, cosa ben più grave, e che è stato ovviamente vittima di divertenti meme sul tema come:

“Me lo ricordo. Eravamo alla New York University”

Altro elemento di interesse è che Conte è un giurista e dovrebbe conoscere la legge italiana meglio di chiunque altro, incluse le conseguenze del mentire nel proprio CV già spiegate in modo approfondito nel mio precedente articolo sulle bugie nel CV:

I rischi aumentano quando invii il tuo c.v. ad una Pubblica Amministrazione, ad esempio per un concorso pubblico: secondo la Corte di Cassazione nella sentenza n. 15535 del 2008, la falsificazione potrebbe condurre al reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, con possibile reclusione fino a due anni. C’è anche il reato di false dichiarazioni sull’identità o su qualità personali proprie: ogni attributo che serva a distinguere un individuo nella personalità economica o professionale, include cariche lavorative inventate. […] o l’illecito deontologico etc.

In conclusione, il CV si conferma come molto più di un semplice “pezzo di carta” ma uno strumento di comunicazione molto importante e versatile che va preso con la giusta attenzione anche da chi è già arrivato in alto. C’è chi è intelligente e lo capisce, come l’on. Piergiorgio Massidda, che ho avuto il piacere di aiutare a riscrivere il CV per necessità operative, e chi invece lo sottovaluta convinto che “tanto quel che conta è altro”, subendo poi le conseguenze.

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